Guida al tartufo dell’Appennino Centrale: zone di produzione, tipologie, ricerca e coltivazione
I tartufi non sono tuberi ma funghi ipogei il cui ciclo vitale avviene interamente nel sottosuolo crescendo in simbiosi con le radici di alcune specie di alberi. In Italia si trova la maggiore varietà e quantità di tartufi selvatici al mondo, 25 specie su 60 totali, ma solo 9 possono essere raccolte e commercializzate, ed è proprio nella nostra nazione che ha avuto inizio la sua storia culinaria e gastronomica. Il luogo considerato d’elezione per eccellenza è il Piemonte, in particolare per via del celebre Bianco di Alba. Meno famosi, più prolifici ma custodi di tartufi di altrettanta qualità, sono i territori dell’Appennino Centrale, aree che negli ultimi anni stanno ricevendo una nuova e meritata attenzione come zone di vocazione tartufigena, sopratutto le Marche e il Molise.
Il Tartufo nelle Marche: i luoghi più vocati e le fiere
La provincia di Pesaro Urbino negli ultimi anni è stata riscoperta come zona di grande vocazione per il tartufo tanto quanto e per alcuni anche di più del Piemonte, sopratutto se si parla di quantità per il tartufo bianco. I suoi centri più famosi sono Acqualagna (in cui si trova anche un museo dedicato), Sant’Angelo in Vado, Apecchio e Pergola, sedi di mercati di importanza nazionale del tartufo pregiato. Altre località famose per il tartufo sono Carpegna, Urbino, Novafeltria, Sassocorvaro, Cagli, Piobbico e Fossombrone. Acqualagna da sola è la sede di raccolta dei 2/3 dell’intera produzione nazionale di bianco, e vi si trovano le 4 principale tipologie durante tutto l’anno. Proprio per l’ampia disponibilità di scelta, Acqualagna accoglie 3 Fiere del Tartufo:
- Fiera Nazionale del Tartufo Bianco, fine ottobre/ inizio novembre
- Fiera Regionale del Tartufo Nero Pregiato, febbraio
- Fiera Regionale del Tartufo Nero Estivo, agosto
Ci sono fiere del tartufo anche a Pergola e a Sant’Angelo in Vado (entrambe del tartufo bianco e si svolgono in ottobre) e ad Amandola (festival del tartufo e dei prodotti tipici dei Sibillini che si svolge a novembre).
In provincia di Ascoli Piceno invece si trova quasi esclusivamente il tartufo nero e i luoghi più vocati sono Acquasanta, Comunanza, Montefortino e Roccafluvione.
Il tartufo in Molise e la diatriba con Alba
Il Molise, ha moltissime zone che per conformazione, altitudine, esposizione e clima permettono la riproduzione spontanea del tartufo. Oltretutto è una regione a bassissima densità abitativa, piena di territori boschivi incontaminati e questo non fa altro che aumentare il suo potenziale. Si dice che produca da solo il 40% della raccolta nazionale di tartufo (con grandi quantità di bianco) e l’80% della produzione va all’export. Oggi il mercato punta ovviamente all’Asia, con Shanghai in testa, ma anche Vietnam e paesi africani come Etiopia e Somalia acquistano grosse quantità di tartufo dal Molise.
Russi e cinesi hanno soppiantato la clientela anglosassone, storica regina del mercato. Non sono in molti ormai a potersi permettere di acquistare tartufi in grandi quantità, dato che il loro valore, espresso al grammo come l’oro, oscilla normalmente tra 250 e 350 euro l’etto, con punte di 600 euro per le grandi pezzature, escludendo le annate difficili e secche in cui la diminuzione dell’offerta fa schizzare i prezzi alle stelle. Purtroppo i cambiamenti climatici in corso e la siccità sempre più aggressiva nella nostra nazione, danneggiano la crescita dei tartufi sia numericamente che qualitativamente (restano di dimensioni più piccole, sono più duri e meno profumati) quindi i pochi che si riescono a trovare di grandi dimensioni e di qualità vengono venduti a prezzi maggiori. A questo si aggiunge un’ulteriore maggiorazione data dalla speculazione: le cattive annate valgono anche per altri prodotti come il vino, l’olio e le verdure, e il loro prezzo aumenta ma mai fino ad arrivare a quattro volte tanto come è successo quest’anno con il tartufo. Negli ultimi mesi molti ristoranti italiani di livello hanno rinunciato a proporre piatti a base di tartufo proprio per questo motivo. Quelli citati inoltre sono prezzi di vendita alla fonte, non quelli dei rivenditori o dei ristoratori, quindi sulle tavole dei ristoranti una grattugiata di tartufo bianco non costa mai meno di una ventina di euro (in periodi buoni) e può arrivare sino a duecento euro nei locali stellati di Singapore, Hong Kong e Shanghai.
Tra il Molise ed Alba c’è ormai da alcuni anni una diatriba in corso riguardo al tartufo bianco. La zona di Alba è relativamente piccola quindi il numero di tartufi provenienti da lì (considerati i più pregiati e costosi in assoluto) dovrebbe essere abbastanza limitato mentre in vendita se ne trovano fin troppi. E’ ovvio quindi che una buona percentuale di quello dichiarato di Alba in realtà proviene da altrove, e dato che il Molise produce cosi tanto bianco, ecco qua servita la diatriba. Uno dei nodi ancora irrisolti del commercio di tartufo è la certificazione oggettiva della quantità prodotta dai singoli territori; se ci fosse una certificazione ufficiale con uno specifico organo di controllo si eviterebbero questi “scambi” e le relative truffe. Alba sostiene che il Molise sia ingannevole nel dichiarare il vero numero di tartufi prodotti; con questa ipotesi il Piemonte si garantirebbe una maggiore eventuale provenienza numerica di bianco dal suo territorio, e una minore possibilità di essere accusato di compravendita illegale di bianco dal Molise per rivenderlo come albese. E’ impossibile negare che ci sia ben più di qualcosa che non va, perchè i bianchi d’Alba presenti sul mercato superano del 40-60% quelli che realmente il suo territorio può produrre. Una percentuale troppo grande per essere ignorata. Oltretutto cresce tartufo bianco di alta qualità anche ad est, in Slovenia, Croazia e persino Albania dove viene venduto a prezzi molto minori e spesso importato in Italia illegalmente per essere rivenduto come piemontese con un guadagno triplicato. Quello del tartufo è un mercato ancora pieno di ombre, di zone di bassa legalità e di tanto mercato nero esentasse, che cavalca la fama, ancora insormotabile nel mondo, del bianco di Alba. La lenta ma crescente fama della qualità dei tartufi della zona appenninica, contribuirà col tempo a ridurre questo fenomeno, perchè più la clientela verrà resa consapevole dell’esistenza di “altro” altrettando valido oltre ad Alba, meno il truffatore sarà tentato di spacciare il tartufo appenninico o dell’est per quello che non è. Se andiamo a guardare la sostanza, cioè il prodotto in sè e non la sua fama o il suo valore economico, se fino al 60% di tartufo viene scambiato per albese quando non lo è, persino dai clienti più esperti, significa che il sapore è davvero buono tanto quanto l’altro, quindi perchè non può avere valore di per sè, per quello che realmente è? Come sempre è una questione di marchio un po’ come avviene per la moda e l’abbigliamento. Se un tartufo è buono è buono, qualsiasi sia la sua provenienza. Come si distingue uno buono di Alba da uno altrettanto buono molisano? Non si sa, e sopratutto non avrebbe importanza se il valore fosse dato solo dalla qualità e non dalla mera provenienza.
Come si diventa cercatori di Tartufo
Coltivare il tartufo è difficile e spesso non dà i risultati sperati, per questo la ricerca di tartufaie spontanee è ancora il metodo più utilizzato. Ma trovare il tartufo non è semplice ed esistono regolamenti severi a tutela di questo dono della terra. Per diventare tartufaio innanzitutto bisogna prendere l’abilitazione sostenendo un esame presso la propria provincia di appartenenza, poi ottenere il tesserino pagando una tassa di concessione. Tutto questo serve ad evitare che persone inesperte possano dedicarsi alla raccolta compromettendone il delicato sviluppo del tartufo. Per la cerca servono un cane e il vanghetto, uno strumento che non deve per legge superare i 6cm di larghezza alla punta per limitare la dimensione delle buche e non rovinare le radici degli alberi che contribuiscono a farli riprodurre. In Emilia Romagna è concesso l’utilizzo di due cani contemporaneamente ma nelle altre regioni, per motivi di tutela faunistica e di concomitanza con attività di caccia, se ne può usare uno solo. La raccolta è libera nei boschi e nei terreni non coltivati, ma se un terreno naturalmente produttivo è privato, allora i proprietari possono raccogliere il tartufo solo facendo riconoscere quel terreno come “tartufaia controllata”. E’ vietato raccogliere tartufi immaturi perché, oltre a non essere buoni da mangiare, contribuiscono con le loro spore allo sviluppo di nuovi tartufi. E’ vietato anche andare in cerca nelle ore notturne (a parte in specifiche aree o concessioni), e raccoglierli al di fuori dei periodi consentiti per ogni tipologia.
La cerca del tartufo è un’attività complessa che richiede grande esperienza e sensibilità. È difficile cominciare da autodidatti. Molti tartufai vengono iniziati a questa pratica secolare dai parenti e proseguono nella tradizione di famiglia. Per ottenere buoni risultati è essenziale maturare nel tempo una conoscenza dettagliata e approfondita dei boschi, imparare a riconoscere i terreni, le piante, e captare quei segnali nascosti che rivelano la presenza del tesoro sotterraneo. Tutti i tartufi neri ad esempio, a causa di alcune sostanze emanate dalle spore, tramutano il ph del terreno in modo tale da impedire la crescita di altre piante, creando una piccola area diradata intorno alla loro posizione. Queste aree sono chiamate pianelli o cerchi della strega. Saperli riconoscere aiuta a indirizzare i cani. Una volta raccolti, i cavatori vendono i tartufi meno pregiati a delle aziende che li lavorano, mentre quelli più pregiati finiscono nelle mani di rivenditori che riforniscono ristoranti di livello, o di commercianti che si occupano del mercato privato ed estero. Quello del rivenditore è un lavoro pericoloso, durante il trasporto rischiano di essere derubati sia dei tartufi che dei soldi quindi i più girano armati e tengono estremamente all’anonimato e alla privacy.
Il cane da Tartufo
In origine la ricerca del tartufo veniva condotta coi maiali, dotati di un fiuto eccezionale e di una capacità di riuscita superiore a qualunque altro animale, ma avevano “l’inconveniente” di esserne talmente golosi da mangiarli prima che i padroni potessero arrivare a prenderli. Fu presso le corti nobiliari che i maiali vennero sostituiti dai cani, ma all’inizio solo per una questione estetica, perchè considerati più eleganti e raffinati nelle ricerche dato venivano organizzate per intrattenere ospiti di prestigio. L’utilizzo del cane si diffuse poi gradualmente anche presso il popolo. Oggi la legge vieta l’impiego dei maiali in quanto troppo irruenti nelle operazioni di scavo e capaci di provocare danni gravi all’ecosistema che circonda l’area di raccolta (esattamente come avviene con i cinghiali selvatici). L’uso del cane invece è obbligatorio, perchè garantisce una precisione di localizzazione tale da evitare inutili scavi che rovinerebbero il terreno. La legge italiana impone che il cane sia appositamente addestrato per la cerca del tartufo e non per altro. Il cane è talmente prezioso e indispensabile per i cavatori che quelli già addestrati vengono venduti anche a 5.000 euro l’uno. Ovviamente non è obbligatorio acquistare cani già addestrati da chi li alleva e li educa per mestiere, sopratutto se si tiene al benessere dell’animale e si preferisce adottare invece che comprare. Si può con molta pazienza e premura addestrare il cane di persona prendendolo da cucciolo ed educandolo con specifici sistemi di gioco. In linea di massima qualunque razza canina dotata di un buon fiuto è adatta allo scopo. La tradizione comunque considera alcune razze più predisposte di altre: il bracco, il pointer, lo spinone, il cocker, il jack russel, il grifone e il lagotto romagnolo. A seconda della morfologia del territorio, i tartufai di mestiere si avvalgono di una razza anziché di un’altra. Sugli Appennini si prediligono bracchi e pointer, in Emilia si usano i lagotti, ma spesso ricorrono anche a meticci di taglia medio-piccola, naturalmente più resistenti a malattie e portati a uno stile di vita più attivo rispetto alle razze pure. A differenza del maiale, il cane non mangia il tartufo se gli viene data all’istante un’alternativa più allettante, come un boccone di cibo ricompensa. Solo al bianco alcuni cani non riescono a resistere e in quel caso gli vengono messe delle leggere museruole per il tempo necessario alla cerca. Senza un alleato in grado di captarne l’odore, trovare un tartufo è estremamente difficile se non impossibile, questo perchè, a differenza dei funghi che crescono in superficie, i tartufi non possono contare sull’aria per la diffusione delle spore, quindi hanno sviluppato l’odore come mezzo per farsi trovare dagli animali che, dissotterrandoli, ne aiutano la riproduzione. Il loro odore non attira solo maiali, cinghiali e cani, ma anche lupi, volpi, orsi, ghiri, conigli, bisce, lucertole, mantidi, grilli, coleotteri, e mosche (tra cui una in particolare che può indicarne la presenza con precisione e che viene recepita dai cercatori come segnale). Il tartufo piace e viene consumato da molte specie, non solo da noi.
E’ possibile coltivare il tartufo?
Coltivare il tartufo è possibile ma arduo. La tartuficoltura è una delle coltivazioni più difficili in assoluto, praticata solo dagli anni ’80, ed è un investimento a lungo termine dato che i primi tartufi possono comparire anche dopo anni. Bisogna acquistare il terreno giusto e scegliere con cura gli alberi da piantare, prediligendo zone vicine a boschi o ad altri terreni in cui i tartufi crescono spontaneamente. Le piante selezionate devono essere preventivamente micorizzate e poi piantate. Si inizia con almeno 300-400 alberi facendo lavori agricoli al terreno per almeno 3-5 anni per farli attecchire. La produzione vera e propria del tartufo inizia in un periodo che va dal sesto finanche al trentesimo anno dopo la messa a dimora delle piante. Spesso durante i mesi di raccolta i tartuficoltori organizzano eventi per far conoscere questa realtà al pubblico; si passa il pomeriggio a fare la cerca con i loro cani nella tartufaia di proprietà e poi si cena con piatti a base di tartufo utilizzando quelli appena raccolti. Parte delle foto che vedete in questo articolo sono state fatte proprio durante uno di questi eventi in una tartufaia coltivata nella zona di Acqualagna, mentre le altre sono state realizzate seguendo un cercatore negli stupendi boschi del Molise interno.
Tartufo: le principali tipologie
- Tartufo Bianco Pregiato È il più noto e costoso, di forma rotondeggiante regolare con cavità e sporgenze. La parte esterna è liscia di colore giallo-biancastro mentre il colore interno cambia in base al grado di maturazione e alla pianta simbionte variando dal marrone al nocciola con sfumature rosate e venature biancastre. Ha un odore forte e molto aromatico, è estramente digeribile e viene consumato quasi unicamente crudo, a fettine sottili sopra preparazioni varie. Si conserva per pochissimo tempo, il periodo tra la maturazione e la marcescenza è molto veloce quindi dal momento della raccolta deve essere consumato entro 3-4 giorni di tempo. Il passare di ulteriori giorni farà perdere aroma, sapore e peso. Si raccoglie da fine settembre a fine dicembre e le dimensioni possono variare da quelle di una noce a quelle di un’arancia. Se la terra è dura, piena di sassi e radici, il tartufo sarà più irregolare, mentre se la terra è friabile il tartufo sarà liscio e di conseguenza più costoso. Cresce in presenza di ambienti umidi ma una volta raccolto teme molto l’umidità quindi in frigo, per proteggerlo dall’umidità eccessiva, la carta assorbente o il panno di cotone utilizzati per avvolgerlo vanno cambiati giornalmente. Non va mai lavato prima di essere messo in frigo e, anche se conservato perfettamente, tenderà a seccare ed indurire per cui la cosa migliore resta consumarlo il prima possibile dopo l’acquisto. La tecnica della nonna di immergere il tartufo in un barattolo di vetro contenente riso è valida solo per un giorno al max, altrimenti il riso lo renderà troppo secco e duro. Congelarlo è fortemente sconsigliato perchè perderà tutto il profumo e gran parte del sapore. In fase di acquisto verificare che non sia stato già pulito, ma che non sia nemmeno troppo coperto di terra perchè può essere un espediente per mascherare eventuali deterioramenti. Al tatto deve essere compatto e leggermente elastico. Al naso l’odore sarà influenzato dalla pianta simbionte: la quercia dona un profumo più forte e persistente, mentre il tiglio più delicato e aromatico. In generale i sentori saranno di fermentato, fungo, miele, fieno, aglio, terra bagnata e ammoniaca. Il bianco pregiato cresce sotto i 700m di altezza, prediligendo terreni calcarei con buona areazione ma mai secchi. Fuori dall’italia i bianchi di qualità maturano soprattutto in Istria. Per quanto riguarda le piante simbionti, si lega a querce, salici, pioppi, tigli, noccioli e carpini neri.
- Tartufo Bianchetto o Marzuolo Di forma rotondeggiante e regolare non raggiunge mai grosse dimensioni. La scorza è liscia di colore chiaro, la polpa, molto chiara se acerbo, diventa gialla/rossiccia a maturazione. Emana un profumo meno forte del Bianco Pregiato e si raccoglie da febbraio a marzo ma a volte è possibile trovarlo anche in aprile e in autunno. E’ molto comune sia in tutta Italia che in Europa e si sviluppa su diversi tipi di terreno, dai litorali fino alle zone montuose ma non oltre i mille metri. Le piante ospiti sono le immancabili querce, i carpini, i pioppi, i faggi, i noccioli, i salici e i tigli, e i pini.
- Tartufo Nero Pregiato E’ il tartufo alimentare per eccellenza. La scorza è nera rugosa con piccole verruche. L’interno è chiaro se acerbo e nero-violaceo con vene bianche sottili ben definite a completa maturazione, che esposte all’aria diventano rosseggianti ed in cottura tendono al nero. Vive in simbiosi sopratutto con quercia e carpino. Matura da metà novembre a metà marzo. La sua forma è perlopiù rotonda e le dimensioni possono variare da quelle di una nocciola a quelle di una grossa patata; il peso può superare anche 1 kg. Per il suo profumo delicato e gradevole e il sapore quasi dolciastro viene spesso chiamato “tartufo dolce”. Trova terreno fertile in aree calcaree con carenza di humus, piante rade e buona esposizione alla luce. Meno raro del bianco ma comunque di difficile reperibilità, matura soprattutto in Piemonte, nelle Marche, in Umbria e in Molise. Oltre i confini italiani si può trovare nel Périgord in Francia, in Spagna e nei boschi dell’Oregon.
- Tartufo Nero estivo o Scorzone – Non raggiunge mai grandi dimensioni (va dai 3 ai 10cm). Ha una scorza bruno nerastra con verruche a forma piramidale. La polpa è color nocciola con numerose vene di colore biancastro e scurisce a maturazione avvenuta. Il profumo è debole, con aroma di fungo. E’ il tartufo di valore economico minore. Matura da maggio a inizio autunno. E’ una specie versatile che apprezza i terreni sia argillosi che sabbiosi purché ben areati e con poca umidità. in Italia è reperibile in quasi tutte le regioni. Oltre confine si trova in Francia, Spagna, e in tutti i paesi affacciati sul Mediterraneo. Entra in simbiosi sia con latifoglie che con conifere.
Come non farsi truffare durante l’acquisto di prodotti al tartufo
Nonostante sia così difficile da trovare e ancora più da coltivare, nei supermercati e nei negozi siamo circondati da prodotti al tartufo, per non parlare di tutti i ristoranti e le osterie che servono piatti al tartufo a prezzi bassi, come le immancabili tagliatelle. Questo perchè in realtà, nella maggioranza dei casi, in questi prodotti di tartufo non c’è neanche l’ombra.
Per non farsi truffare bisogna innanzitutto fare attenzione alle tre diverse diciture presenti nelle etichette: “tartufo”, “aroma naturale di tartufo” e “aroma di tartufo” sono infatti tre cose ben diverse. Con il termine “tartufo” ci si riferisce ovviamente ad un quantitativo più o meno consistente (indicato a percentuale) di vero tartufo, generalmente seguito dal nome latino della varietà presente (Tuber magnatum se si tratta del bianco eTuber melanosporum se si tratta del nero). Ovviamente più è alta la percentuale di tartufo usato più il prodotto sarà di qualità. Se invece è bassa (può partire anche solo dallo 0,5%) signifca che mangiandolo neanche ne sentirete il sapore, e che il produttore l’ha inserito tra gli ingredienti solo per poter legalmente utilizzare l’immagine del tartufo sulla confezione attirando di più i compratori, oltre che per ingannare su un sostanziale aumento di prezzo ingiustificato.
Nel caso dell’aroma invece, se viene usato l’aggettivo “naturale”, si tratta di una sostanza estratta direttamente dal tartufo, con un procedimento dai costi elevati come avviene per i profumi, che quindi conferirà al prodotto il vero odore e sapore del tartufo, mentre se viene indicato solo con il termine “aroma di tartufo” allora si fa riferimento ad un liquido artificiale chiamato bismetiltiometano ottenuto in laboratorio con costi molto bassi attraverso sintesi chimica di derivati del petrolio, che in altri settori viene addirittura usato anche come solvente. Si avete capito bene, è petrolio, perché l’odore del bismetanolo assomiglia a quello del metano, e tutti sappiamo che il tartufo per i nasi semplici ha lo stesso odore del gas. Di tartufo quindi non ce n’è traccia ma, in compenso, i prodotti che usano solo il bismetiltiometano non potranno mettere l’immagine del tartufo nell’etichetta. Nei prodotti che invece contengono tartufo in piccolissime percentuali e che hanno l’immagine in etichetta, l’aroma sintetico viene aggiunto per dare sapore a qualcosa che ovviamente non ne avrebbe; in quel caso troveremmo la doppia dicitura “tartufo e aroma di tartufo”. I produttori che invece usano tartufo in quantità maggiori al 5%, usano la dicitura “condimento a base di tartufo”, ma il resto del prodotto spesso è composto da funghi, olive o altri ingredienti in grado di assorbire bene il bismetiltiometano aggiunto dando più sapore al tutto. La maggioranza delle salse al tartufo quindi sono composte da funghi. Se per legge venisse imposto l’obbligo della dicitura tecnica “bismetiltiometano” al posto di un generico “aroma di tartufo”, si eviterebbe di ingannare legalmente gli acquirenti, ma le aziende fatturerebbero molto meno. Insomma il solito discorso del rapporto malsano tra legge e mercato.
Nei prodotti confezionati come risotti o pasta si trova invece quasi sempre l’aroma liofilizzato. Nel riso viene inserita una minima quantità di tartufo preventivamente trattato con aroma di sintesi e poi liofilizzato. In questo modo si può conferire all’intera confezione di risotto il sapore del tartufo. Il costo per il produttore è di pochi centesimi di euro perché si scelgono scarti di scorzone estivo ma il consumatore, convinto di acquistare un “riso al tartufo” è disposto a pagare sei-sette volte in più rispetto al costo di un semplice riso bianco.
Al ristorante è molto più difficile riconoscere queste truffe legalizzate perchè non abbiamo a disposizione alcuna etichetta da controllare e dobbiamo affidarci solo al nostro naso e alla bocca. Quando usano prodotti contenenti bismetiltiometano si avverte un lieve pizzicore e un retrogusto insistente, forte e prolungato. L’odore è fortissimo anche tenendo il piatto lontano e un naso sensibile potrà addirittura percepire un fastidio che porterà ad una leggera nausea. Il problema è che la maggioranza dei consumatori è abituata a questo sapore perchè magari non ha mai provato il tartufo vero a crudo ad eccezione dell’economico scorzone, mentre ha assaggiato molte volte le onnipresenti salse, quindi non sarà in grado di capire la differenza di sapore e odore. Un’altra possibilità è fare caso alla presenza della targa che La Federazione Italiana Tartuficoltori Associati (FITA) conferisce ai ristoratori che in cucina utilizzano solo tartufo vero, sempre se la espongono.
Se invece parliamo di olio al tartufo, allora quello vero e sano quasi non esiste quindi il consiglio è di non comprarlo affatto. L’unico modo per produrne di qualità sarebbe molire le olive assieme al tartufo direttamente nel frantoio, ma per ovvi motivi di costi praticamente nessuno lo fa. L’olio in commercio o contiene l’aroma sintetico, o ha un pezzetto di tartufo (di solito scorzone) in infusione nella bottiglia, ma tenere qualsiasi prodotto fresco nell’olio per più di qualche giorno può portare alla creazione di muffe e batteri quindi è bene non consumarlo.
Consigli per l’acquisto di un tartufo
Un buon tartufo si riconosce dall’odore quindi quando lo si acquista è bene isolare quello prescelto dagli altri e, dopo qualche istante, sentirne nuovamente l’odore per essere sicuri che non venisse influenzato da quello dei suoi vicini. Poi va toccato: se è molle è troppo maturo perciò si conserverà poco. Un buon tartufo risulta sodo al tatto ma non duro altrimenti è secco. Ovviamente controllate che non ci siano imperfezioni e piccole parti rovinate. Verificate anche la nazione di provenienza, che andrebbe sempre indicata dal venditore, perchè ci sono molte truffe di tartufi stranieri (soprattutto asiatici) senza aroma ma che a contatto con quelli di qualità assorbono e rimandano il profumo per alcune ore. Una volta acquistato non chiudetelo in barattolo perchè avra più probabilità di andare a male.
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Agnese
Fotografa freelance professionista specializzata in food&wine, travel e reportage; si occupa anche di post produzione e ritocco fotografico per terzi. Foodie appassionata, vive seguendo i valori dell' ecosostenbilità e predilige scrivere di realtà che lavorano a basso impatto ambientale e che si curano del benessere di terreno, animali e persone, producendo alimenti sani e il più possibile naturali. Viaggiatrice in solitaria, ama apprendere dai luoghi visitandoli per lo più senza programmazione e concedendosi il piacere di improvvisare il percorso giorno per giorno. Negli anni ha collaborato ed è stata pubblicata tra gli altri da Manfrotto, CNN Travel, Il Sole 24 ore, Gambero Rosso, Electrolux, Netaddiction. Il mio sito portfolio è www.agnesegambini.it
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Fotografa freelance professionista specializzata in food&wine, travel e reportage; si occupa anche di post produzione e ritocco fotografico per terzi. Foodie appassionata, vive seguendo i valori dell' ecosostenbilità e predilige scrivere di realtà che lavorano a basso impatto ambientale e che si curano del benessere di terreno, animali e persone, producendo alimenti sani e il più possibile naturali. Viaggiatrice in solitaria, ama apprendere dai luoghi visitandoli per lo più senza programmazione e concedendosi il piacere di improvvisare il percorso giorno per giorno. Negli anni ha collaborato ed è stata pubblicata tra gli altri da Manfrotto, CNN Travel, Il Sole 24 ore, Gambero Rosso, Electrolux, Netaddiction. Il mio sito portfolio è www.agnesegambini.it